Mi faccio paura quando di punto in bianco, dopo una giornata passata in giro a fare cose che mi interessano, mi accascio sul divano e mi viene da piangere, senza possibilità di trattenermi.
Mfpq mi viene il chiodo fisso di una New York Chocolate Cheese Cake del California Bakery ma non lo dico a nessuno.
Mfpq il dottore si stufa di me, mi carica in macchina, non mi dice DOVE andiamo, non mi dice QUANTO ci metteremo ad arrivare e io mi scervello e sono contenta, salvo poi intravedere nello schermo di Thomas (che lui mi stava tenendo nascosto) che i km residui per arrivare a destinazione sono 210, e allora cambio umore di nuovo.
Mfpq mi vengono gli attacchi di panico e fuori dall'abitacolo piove a dirotto, non si vede niente se non pianura padana che si dirada verso est e campi che riposano sotto la neve e io vorrei fuggire ma rimanere, fuggire ma rimanere.
Mfpq riesco a mangiare non solo TUTTO quello che ho nel piatto, ma pure quello che c'è nel piatto suo.

Alla fine siamo finiti a Piacenza, non alla mèta dei 210 km. Abbiamo cenato divinamente là e io sono tornata normale. Ed è stato bello correre sotto la pioggia battente nel Corso per arrivare alla nostra indifesa Punto niente.

E' possibile che un frigo perda liquido nerastro per due giorni, che il freezer si scongeli del tutto, facendomi credere che sia ormai in punto di morte, e poi così, una sera qualunque torno a casa e tutto ha ripreso a funzionare?
Queste sono le domande a cui io non so rispondere e che se ne portano dietro molte altre, tipo ma se ora mangio quello che c'è dentro il frigo, muoio?

E io che stamattina ho impiegato UN'ORA intera della mia giornata lavorativa per fare una classifica dei modelli di frigoriferi più venduti in Italia, filtrando per prezzo, classe energetica e decorazione delle porte (ne volevo uno in alluminio, non il solito bianco). Avevo trovato i due modelli che facevano per me, per la mia micro cucina.
Ah, che peccato.

Consoliamoci. In realtà dentro il frigo non c'è granché, quindi probabilmente non morirò.

Bene, c'è un broccolo che si ammorbidisce dentro la pentola, ché ho proprio voglia di pasta coi broccoli stasera. Sempre alta cucina, qui, eh. Cucina dei poveri, ma soddisfacente. Con tutti i soldi che sto spendendo ultimamente va anche bene. E' che tra le mie crisi cicliche e i ritorni natalizi e i viaggetti infra natalizi e i mercatini di Natale strasburghesi, il mio conto chiede pietà.
Devo capire quand'è che mi versano la tredicesima.

Intanto a Milano c'è un'aria gelida che irrigidisce il naso e la fronte, alle 19 la gente si accalca alle fermate degli autobus che non passano mai, si sporge speranzosa oltre il marciapiede cercando di intravedere in lontananza qualcosa di riconducibile a un mezzo ATM. E' divertente guardare questa massa umana, nella mia non-fretta di tornare a casa, magari riflessa poi sulle vetrate del 15 incorniciate di verde. Lì mi rifletto pure io, con la sciarpa celeste il cappottino rosso i guanti bianchi con le punte che stanno per spuntarsi. Mi viene voglia di farmi le smorfie, ma magari lo faccio quando l'autobus è meno pieno.

E' che mentre cammino mi passa la voglia di fare quello che avevo pensato di fare
una parola una può farmi cambiare idea al volo e sbuffare
e come al solito mi viene in mente che mancano dei pezzi e non ci riesco ad adeguarmi
ed è arrivato un nuovo venerdi alla velocità della luce, il divano letto rimarrà vuoto anche questo weekend e pazienza che tanto l'otto dicembre non è lontano e domani magari ce ne andiamo da qualche parte
poi mentre cammino e penso a quello che non ho più voglia di fare cerco di nuovo il cellulare in borsa, ancora caldo, e chiamo per sentire la sibilla, ché lei mi dà sempre saggi responsi perchè sa tutto, anche quello che non le dico. E finiamo a ridercela come sceme parlando dei discorsi TROPPO profondi, quelli che fanno venire il prurito. Punaises! vous me manquez trop.

Ieri il pensiero benefico del lunedi mattina, quello che serve per far passare in fretta a senza traumi le prime ore della giornata, è stato Parigi. In particolare quella passeggiata parigina di quel marzo lì, il giorno dopo il mio primo colloquio di lavoro serio in un'altra lingua. Che quando ci ripenso mi viene un pò da ridere e un pò da sgranare gli occhi per quanto ero stata coraggiosa, quel giorno lì. Ovviamente non mi avevano preso, eh magari - direi oggi, perchè mica c'ero riuscita a convincerli che il sogno della mia vita era lavorare in banca a occuparmi di asset management e robe così. Beh, non li avrei convinti nemmeno se il colloquio lo avessi fatto in italiano, ecco.

Comunque il pensiero portante del mio lunedì mattina è stata la passeggiata della mattina dopo. Dall'appartamento di Audrey inoltrarsi per il quartiere africano e salire per quelle stradine strette su su fino a Montmartre. E poi giu giu in mezzo agli artisti di strada, fino al Café des Deux Moulins e ai sexy shops vicino al Moulin Rouge. Con il cielo grigiastro sopra, che mica sarebbe tanto diverso da quello di Milano se non fosse per l'odore dell'aria. Quella si, la trovo diversa.

Non c'è un pensiero benefico del martedi mattina invece. La pigrizia del rientro del lunedi è già vinta in parte, e si fa strada la lista di priorità della settimana lavorativa. E i fantasticamenti del dopo lavoro, che poi sono quasi sempre troppo stanca per mettere in pratica.

Però stamattina ho fatto una cosa sbagliata. Ho aperto randomly delle pagine Lavora con noi, ma riferite a sedi estere. Cosa sbagliatissssima da fare. Perchè poi rimane il pensiero malefico, e il tarlo della fuga, quello che poi mi fa entrare in crisi con il resto del mio mondo. No, questo mese devo essere più forte IO. O almeno, la mia parte razionale. Fatti forza.

E' stato un lunedì lungo.
Scema me.

In tivvù c'è Grease, e credo di non averlo mai guardato tutto di filato. Ma mi ha già stancato. Il dottore si è addormentato nel divano a fianco in una sua posa tipica: braccia conserte, un mazzetto di fogli e un evidenziatore giallo sul petto. Mi chiedo sempre perchè si porti dietro questi oggetti quando si siede sul divano se poi nel giro di 30 secondi si è già addormentato. Però è carino, e se è contento così...

E' stato un lunedi lungo dopo un weekend troppo corto. Che però ha visto nell'ordine una serata in giro a comprare arredamento per la casa - esperienza mistica di negozi deserti alle sette di un giovedi post ufficio -; un venerdi pomeriggio passato in una boutique di abiti da sposa a dare consigli ad un'amica che sceglie il suo - e non è stato neppure traumatico come pensavo, anzi...solo che non lo confesserò mai a mia madre -; una giornata a Lecco dove da veri nerds io e il dottore abbiamo percorso tutto l'itinerario manzoniano - vuoi mettere l'emozione di vedere il tabernacolo di fronte al quale Don Abbondio era stato fermato dai Bravi, eh? -; una domenica di montaggio tende e litigi dottorali più cena in compagnia con spezzatino bruciato causa tradimento pentola a pressione - questa sconosciuta.

Grandi emozioni, insomma.

Ore ventitrè di una domenica sera, Aeroporto di Linate. Il volo ha recuperato il ritardo della partenza, ma dil nastro trasporta-bagagli non ha risputato la mia valigia arancione. Il tizio Meridiana dell'aeroporto di Elmas si è semplicemente dimenticato di etichettarla, quindi lei, figlia di nessuno, è rimasta in Terra Sarda. Beata lei, mi verrebbe da dire. Ma poi che ci fa tutta sola soletta nel deposito bagagli smarriti? Meglio che torni da me. E allora cara mia valigia arancione, torna, Chè io ti aspetto a braccia aperte!

Ore sette e cinquantasette di un lunedi mattina. Non riesco ad alzarmi dal divano. La storia della valigia persa ci ha fatto perdere un sacco di tempo e siamo tornati a casa a mezzanotte e mezza. Diomio che sonno. Mica ce la posso fare. Oltretutto piove. A V invece c'era il sole. E frescolino autunnale. E mi sono distesa sul prato del parco. Ho festeggiato il diciottesimo compleanno del fratellino e il mio regalo personalizzato gli è piaciuto un sacco. Ho cenato con i vecchi amici, viaggiato sul pandino verde, riso tanto che i muscoli del cranio mi facevano male. Sono salita con il Dottore in cima al monte, come facevamo sempre, nel nostro posto di riflessione: il punto da cui si sentono tutte le voci del paese, si domina metà Medio Campidano, si vede il fumo uscire contemporaneamente da tutti i caminetti delle case vecchie e quando c'è il cielo proprio pulito si vede pure la Sella del Diavolo del Poetto. C'era pure mia nonna, parecchie case più in basso, che stendeva i panni in terrazza.

Ecco.