A me non piace il Capodanno. Mi fa venire il malumore. Un pò come il giorno del mio compleanno. Quello però un pò passa. Questo dell'ultimo dell'anno invece no. Non faccio mai programmi. Mentre gran parte delle persone inizia a scervellarsi già da fine novembre, se non prima, io arrivo sempre al 30 dicembre che non ho idea di cosa fare. Perchè quasi mai ho voglia di fare qualcosa. Onde poi farmi venire l'ansia perchè tutti continuano a chiedere Cosa fai a Capodanno? e a quanto pare fa brutto rispondere Niente. Si ripresenta poi la solita situazione: quando torno a Casa, tutti hanno i loro programmi, con compagnie nuove/riciclate/non conosciute. Io non ho più compagnie. Ho gente sparsa qua e là, in centro e sud Sardegna, in Continente e in giro per il mondo. In ogni caso impossibile da radunare.

Comunque, questo è l'inutile ultimo post del 2008. Mi spiace sempre quando un anno bello finisce. Così, perchè mi affeziono a scrivere le cifre in alto alla pagina. E il 2008 è stato un anno bello, pure lui. Nonostante mi sia lamentata un sacco, abbia pianto anche troppo, abbia avuto crisi isteriche a cadenza quasi mensile. Però è pur sempre stato l'anno delle nuove sfide, della convivenza, dello stipendio fisso, dei VIAGGI, degli amici.

Oh pure il 2009 inizia con un viaggio. Ho già iniziato a fare la valigia. Per tornare a Milano, stavolta passiamo da Barcellona.

[smetteredilamentarmi-cambiarestile-ingoiarelerisposteacide]

Non dovrei farle, certe cose. Non partecipare a certe serate. Queste sono le vacanze natalizie dei fantasmi del passato. Se fossimo in Canto di Natale io sarei già scappata con lo spirito del Natale passato. Se Milano mi è (stranamente e per la prima volta) mancata nei primi giorni qui a Casa, ora l'idea che sia già lunedi mi scoccia terribilmente. Ecco, sto entrando nel vortice del E se...?

Sono quella che ha viaggiato che ha cambiato prospettive più e più volte in questi anni che ha vissuto in quattro città diverse che ha preso due lauree imparato una terza lingua fatto mille colloqui e trovato un lavoro stabile. Ma non riesco a dirle, queste cose. Non come meriterebbero di essere raccontate.

Incorreggibile.

Come colonna sonora di stasera questa (Sittin' On) The Dock of The Bay non c'entra proprio niente, ma ora è iniziata e lascio andare. C'ho una leggera (e solita) ansia da pre-partenza. Due valigie da preparare, la mia e quella del Dottore che stasera è di guardia. A quanto pare domani pomeriggio tornerà a casa con un cappone, gentile regalo di un paziente.
Bravo, caro paziente, lei sa in che guaio ci ha cacciato? A parte il fatto che un cappone nel nostro freezer non ci entrerà manco a mazzate, sa come impiegherà il pomeriggio di domani, il Dottore? Anzichè preparare la valigia, ricordarsi di andare a gettare l'immondezza, mettere al suo posto Thomas...lui cercherà di fare a pezzetti il cappone e infilarlo dentro il freezer. Io già me lo vedo. E già mi vedo in preda a crisi isteriche, io che lo aspetto alla fermata dell'autobus mezza ibernata, travolta dalla calca dei regalisti degli ultimi giorni.

Zen Zen Zen, non mi devo far prendere dall'ansia con 24 ore di anticipo.

L'abbinamento sushi affogato di salsa di soia e olive al cioccolato strasburghesi non è stato proprio azzeccato, mi sa.

Hai presente i rumori del ritorno a casa? Quelli tipici di quando si torna dopo una giornata fuori. Lo scrosciare dell'acqua della doccia, gli sportelli della dispensa in cucina che si aprono, una musica di sottofondo. La casa che torna in vita, in pratica. Qui siamo solo in due a riportare in vita la casa e di rumore non ne facciamo tanto. Siamo una coppia silenziosa, in queste occasioni perlomeno. Però questo ricordo è comparso mentre mi asciugavo i capelli di fronte allo specchio. Flashback, uno dei tanti.

Con una doccia caldissima ho lavato via dai capelli l'odore della cena indiana di ieri sera a casa di Parnjit e della sua famiglia. Una vera cena indiana, con il riso basmati, il naan fatto in casa, il pollo tandoori, le spezie, le frittelle di cavolfiore e quelle di latte e aceto. Assaggiando tutto questo e ascoltando la loro storia, guardando il loro immenso album fotografico, i quadri alle pareti e i videoclip indiani alla tv, mi sono riappacificata con il safari dentro la mia testa.
In fondo basta spostare la messa a fuoco.

La sinusite invece non si è riappacificata con me, e mi vuole uccidere. O forse sono ste bestie di pensieri che stanno combattendo una lotta interna. Chi di loro vincerà il premio del "pensiero più coglione del 2008?". E' una dura lotta, eh, ci sono un sacco di concorrenti e corrono tutti ad armi pari. In ogni caso finirò per sbattere la testa al muro se questo dolore non passa. Gli antiinfiammatori sono finiti e ho perso quell'unica pillola di salvezza donatami dall'amico nel suo divanoletto di stenti e patimenti. Un Flomax in cambio di un muffin al cioccolato. Però la mia borsa ha ingoiato la magica pillola, e lo so, la sinusite mi sconfiggerà.

Sei come una di quelle bambine che ripete all'infinito una parola fino a farle perdere il senso. Tu fai lo stesso con tutti i pensieri che c'hai in testa - mi ha detto ieri sera il dottore. Come dargli torto. Mi è sempre piaciuta questa cosa delle parole che perdono il senso se le ripeti per troppe volte. Ed è così che mi sento ultimamente: immersa in un insieme di situazioni circostanze e parole di cui non trovo il senso. Forse ho osservato tutto talmente a lungo che ho perso la messa a fuoco.

Per Natale vorrei una macchina fotografica nuova.

La prossima volta che qualcuno dirà al dottore che con me ci vuole pazienza, verrà preso a calci senza nessun ritegno, all'istante.

Lui si è alzato presto per andare a fare il giro in reparto, io ancora dormivo. Mi ha lasciato un bigliettino carino sul tavolo della colazione. Io tutta sorridente e canticchiante mi sono data da fare, e ho preparato i bagagli per l'imminente trasferta alsaziana. Alla fine dei preparativi infilo cuffietta sciarpa e cappotto, pronta ad uscire di casa per sbrigare commissioni improrogabili del sabato mattina (considerando il giorno di festa del lunedì): devo ASSOLUTAMENTE andare alla Posta entro l'ora di pranzo.

Poi, come in un film, il mio occhio si focalizza sul particolare strano: dal portachiavi all'ingresso manca il MIO mazzo di chiavi, oltre che il suo, ovviamente.

Respiro a fondo.

Spero ardentemente che non abbia avuto l'accortezza di chiudere la porta dall'esterno con la chiusura di sicurezza.
...
Film. Maniglia. Giro il chiavistello interno.
...
Ha avuto l'accortezza.


Ma PORC'*@###*&%@


Ecco, mi viene da imprecare come nei fumetti...

SONO CHIUSA DENTRO CASA.

Già il fatto che rischiano di saltare le commissioni improrogabili mi fa notevolmente incazzare, ma DA SEMPRE l'essere chiusa dentro mi provoca reazioni allergiche che potrebbero sfociare in un attacco di panico. Questo cacchio di senso di impotenza dell'essere in una stanza senza poterne uscire mi fa impazzire.

Questo post dunque ha lo stesso effetto scenico di quelle situazioni filmesche in cui una povera ragazza indifesa batte i pugni contro una super porta blindata e sbraita cercando di farsi inutilmente sentire senza che nessuno possa aiutarla ad uscire.

E voglio sfogarmi ORA, perchè quando torna il dottore cercherò di evitare di mangiarmelo in un sol boccone. Dobbiamo partire, per dinci, e questo weekend ha lo scopo di di donarci SERENITA', non può iniziare così, ecchecazzo.

[davvero, chiunque mi dirà di nuovo "NON ARRABBIARTI SEMPRE, POVER'UOMO, SEI PROPRIO STRONZA" non avrà più possibilità di rivolgermi la parola in futuro. J'en ai MARRE.]

Mi faccio paura quando di punto in bianco, dopo una giornata passata in giro a fare cose che mi interessano, mi accascio sul divano e mi viene da piangere, senza possibilità di trattenermi.
Mfpq mi viene il chiodo fisso di una New York Chocolate Cheese Cake del California Bakery ma non lo dico a nessuno.
Mfpq il dottore si stufa di me, mi carica in macchina, non mi dice DOVE andiamo, non mi dice QUANTO ci metteremo ad arrivare e io mi scervello e sono contenta, salvo poi intravedere nello schermo di Thomas (che lui mi stava tenendo nascosto) che i km residui per arrivare a destinazione sono 210, e allora cambio umore di nuovo.
Mfpq mi vengono gli attacchi di panico e fuori dall'abitacolo piove a dirotto, non si vede niente se non pianura padana che si dirada verso est e campi che riposano sotto la neve e io vorrei fuggire ma rimanere, fuggire ma rimanere.
Mfpq riesco a mangiare non solo TUTTO quello che ho nel piatto, ma pure quello che c'è nel piatto suo.

Alla fine siamo finiti a Piacenza, non alla mèta dei 210 km. Abbiamo cenato divinamente là e io sono tornata normale. Ed è stato bello correre sotto la pioggia battente nel Corso per arrivare alla nostra indifesa Punto niente.

E' possibile che un frigo perda liquido nerastro per due giorni, che il freezer si scongeli del tutto, facendomi credere che sia ormai in punto di morte, e poi così, una sera qualunque torno a casa e tutto ha ripreso a funzionare?
Queste sono le domande a cui io non so rispondere e che se ne portano dietro molte altre, tipo ma se ora mangio quello che c'è dentro il frigo, muoio?

E io che stamattina ho impiegato UN'ORA intera della mia giornata lavorativa per fare una classifica dei modelli di frigoriferi più venduti in Italia, filtrando per prezzo, classe energetica e decorazione delle porte (ne volevo uno in alluminio, non il solito bianco). Avevo trovato i due modelli che facevano per me, per la mia micro cucina.
Ah, che peccato.

Consoliamoci. In realtà dentro il frigo non c'è granché, quindi probabilmente non morirò.

Bene, c'è un broccolo che si ammorbidisce dentro la pentola, ché ho proprio voglia di pasta coi broccoli stasera. Sempre alta cucina, qui, eh. Cucina dei poveri, ma soddisfacente. Con tutti i soldi che sto spendendo ultimamente va anche bene. E' che tra le mie crisi cicliche e i ritorni natalizi e i viaggetti infra natalizi e i mercatini di Natale strasburghesi, il mio conto chiede pietà.
Devo capire quand'è che mi versano la tredicesima.

Intanto a Milano c'è un'aria gelida che irrigidisce il naso e la fronte, alle 19 la gente si accalca alle fermate degli autobus che non passano mai, si sporge speranzosa oltre il marciapiede cercando di intravedere in lontananza qualcosa di riconducibile a un mezzo ATM. E' divertente guardare questa massa umana, nella mia non-fretta di tornare a casa, magari riflessa poi sulle vetrate del 15 incorniciate di verde. Lì mi rifletto pure io, con la sciarpa celeste il cappottino rosso i guanti bianchi con le punte che stanno per spuntarsi. Mi viene voglia di farmi le smorfie, ma magari lo faccio quando l'autobus è meno pieno.

E' che mentre cammino mi passa la voglia di fare quello che avevo pensato di fare
una parola una può farmi cambiare idea al volo e sbuffare
e come al solito mi viene in mente che mancano dei pezzi e non ci riesco ad adeguarmi
ed è arrivato un nuovo venerdi alla velocità della luce, il divano letto rimarrà vuoto anche questo weekend e pazienza che tanto l'otto dicembre non è lontano e domani magari ce ne andiamo da qualche parte
poi mentre cammino e penso a quello che non ho più voglia di fare cerco di nuovo il cellulare in borsa, ancora caldo, e chiamo per sentire la sibilla, ché lei mi dà sempre saggi responsi perchè sa tutto, anche quello che non le dico. E finiamo a ridercela come sceme parlando dei discorsi TROPPO profondi, quelli che fanno venire il prurito. Punaises! vous me manquez trop.

Ieri il pensiero benefico del lunedi mattina, quello che serve per far passare in fretta a senza traumi le prime ore della giornata, è stato Parigi. In particolare quella passeggiata parigina di quel marzo lì, il giorno dopo il mio primo colloquio di lavoro serio in un'altra lingua. Che quando ci ripenso mi viene un pò da ridere e un pò da sgranare gli occhi per quanto ero stata coraggiosa, quel giorno lì. Ovviamente non mi avevano preso, eh magari - direi oggi, perchè mica c'ero riuscita a convincerli che il sogno della mia vita era lavorare in banca a occuparmi di asset management e robe così. Beh, non li avrei convinti nemmeno se il colloquio lo avessi fatto in italiano, ecco.

Comunque il pensiero portante del mio lunedì mattina è stata la passeggiata della mattina dopo. Dall'appartamento di Audrey inoltrarsi per il quartiere africano e salire per quelle stradine strette su su fino a Montmartre. E poi giu giu in mezzo agli artisti di strada, fino al Café des Deux Moulins e ai sexy shops vicino al Moulin Rouge. Con il cielo grigiastro sopra, che mica sarebbe tanto diverso da quello di Milano se non fosse per l'odore dell'aria. Quella si, la trovo diversa.

Non c'è un pensiero benefico del martedi mattina invece. La pigrizia del rientro del lunedi è già vinta in parte, e si fa strada la lista di priorità della settimana lavorativa. E i fantasticamenti del dopo lavoro, che poi sono quasi sempre troppo stanca per mettere in pratica.

Però stamattina ho fatto una cosa sbagliata. Ho aperto randomly delle pagine Lavora con noi, ma riferite a sedi estere. Cosa sbagliatissssima da fare. Perchè poi rimane il pensiero malefico, e il tarlo della fuga, quello che poi mi fa entrare in crisi con il resto del mio mondo. No, questo mese devo essere più forte IO. O almeno, la mia parte razionale. Fatti forza.

E' stato un lunedì lungo.
Scema me.

In tivvù c'è Grease, e credo di non averlo mai guardato tutto di filato. Ma mi ha già stancato. Il dottore si è addormentato nel divano a fianco in una sua posa tipica: braccia conserte, un mazzetto di fogli e un evidenziatore giallo sul petto. Mi chiedo sempre perchè si porti dietro questi oggetti quando si siede sul divano se poi nel giro di 30 secondi si è già addormentato. Però è carino, e se è contento così...

E' stato un lunedi lungo dopo un weekend troppo corto. Che però ha visto nell'ordine una serata in giro a comprare arredamento per la casa - esperienza mistica di negozi deserti alle sette di un giovedi post ufficio -; un venerdi pomeriggio passato in una boutique di abiti da sposa a dare consigli ad un'amica che sceglie il suo - e non è stato neppure traumatico come pensavo, anzi...solo che non lo confesserò mai a mia madre -; una giornata a Lecco dove da veri nerds io e il dottore abbiamo percorso tutto l'itinerario manzoniano - vuoi mettere l'emozione di vedere il tabernacolo di fronte al quale Don Abbondio era stato fermato dai Bravi, eh? -; una domenica di montaggio tende e litigi dottorali più cena in compagnia con spezzatino bruciato causa tradimento pentola a pressione - questa sconosciuta.

Grandi emozioni, insomma.

Ore ventitrè di una domenica sera, Aeroporto di Linate. Il volo ha recuperato il ritardo della partenza, ma dil nastro trasporta-bagagli non ha risputato la mia valigia arancione. Il tizio Meridiana dell'aeroporto di Elmas si è semplicemente dimenticato di etichettarla, quindi lei, figlia di nessuno, è rimasta in Terra Sarda. Beata lei, mi verrebbe da dire. Ma poi che ci fa tutta sola soletta nel deposito bagagli smarriti? Meglio che torni da me. E allora cara mia valigia arancione, torna, Chè io ti aspetto a braccia aperte!

Ore sette e cinquantasette di un lunedi mattina. Non riesco ad alzarmi dal divano. La storia della valigia persa ci ha fatto perdere un sacco di tempo e siamo tornati a casa a mezzanotte e mezza. Diomio che sonno. Mica ce la posso fare. Oltretutto piove. A V invece c'era il sole. E frescolino autunnale. E mi sono distesa sul prato del parco. Ho festeggiato il diciottesimo compleanno del fratellino e il mio regalo personalizzato gli è piaciuto un sacco. Ho cenato con i vecchi amici, viaggiato sul pandino verde, riso tanto che i muscoli del cranio mi facevano male. Sono salita con il Dottore in cima al monte, come facevamo sempre, nel nostro posto di riflessione: il punto da cui si sentono tutte le voci del paese, si domina metà Medio Campidano, si vede il fumo uscire contemporaneamente da tutti i caminetti delle case vecchie e quando c'è il cielo proprio pulito si vede pure la Sella del Diavolo del Poetto. C'era pure mia nonna, parecchie case più in basso, che stendeva i panni in terrazza.

Ecco.

Sono in ritardo anche stamattina.
E' che son caduta in letargo. Profondo letargo.

Devo avere la testa piena di ricci di castagna. Ogni tanto ne sento cadere uno - ponf - in genere quando qualcuno mi scuote dal torpore.

La capa mi legge per telefono numeri e cifre, vuole che le calcoli percentuali per arrivare al prezzo giusto, stia attenta a non sbagliare la proposta - mi dice - ma io in mezzo a tutti sti ricci e al ciak ciak delle foglie secche in testa non riesco a starle dietro. Non riesco.

Il tizio del videonoleggio mi ha visto due volte in 24 ore e già mi odia. Gli ho rotto la custodia del dvd, perchè mica era così intuitiva, l'apertura, e ho dimenticato la scheda in negozio dentro la macchinetta e l'ho visto come mi ha guardato, con uno sguardo di disapprovazione misto a compatimento.

Venerdì ho il pomeriggio libero. E un aereo alle cinque. Fatemi tornare a Casa, và, dove i ricci di castagne e le foglie ciak ciak ci sono davvero. Ci son grandi programmi per il weekend. Oh e anche se non verranno bene come vorrei chissenefrega. Mi stendo sul prato giallo e mi dimentico di tutto.

La domenica pomeriggio scatta la voglia di dolce. Più degli altri giorni, sì, che non avendo niente da fare la mente si ingegna a pensare alle cose che la farebbero stare bene. Prevedendo questo momento, ieri ho comprato una scatola di quelle per fare i dolci con il cuore fondente, dove c'è la foto di una specie di muffin con tutto il cioccolato fumante che cola. Queste scatole nascondono sempre la fregatura, però, e io che sono poco avvezza a preparare i dolci per conto mio, non ci ho pensato. Infatti non ho uova in casa, e non posso fare il muffin con il cuore colante. Solo che l'ho scoperto proprio nel momento peggiore, all'acme della mia voglia di dolce.

Per fortuna che ho ricordato di avere ancora del gelato in freezer, e anche una bottiglia di quello sciroppo al cacao che io e mio fratello usiamo per i nostri impiastri del dopo pranzo [ah, mi mancano i pasticci gastronomici con mio fratello].

Gelato con sciroppo al cioccolato sopra (taaanto sciroppo al cioccolato): toh, mente golosa della domenica pomeriggio, ora stai zitta.

Ci sono giorni in cui questa città ti fa sentire tremendamente solo. Ma è bene anche sapere che in realtà non è lei che te la crea, la solitudine, ma tu che la vuoi. Comunque. La pausa pranzo è un momento perfetto per sentirsi abbandonati dal mondo. Con il cielo così grigio, e il veleno che scorre tra le marmitte delle auto e si infila dritto nei tuoi polmoni, e una torta salata agli spinaci che scende come un macigno lungo l'esofago più una ciurma di ragazzetti schiamazzanti in gita scolastica che hanno occupato metà della piazzetta in cui ti piace sedere a mangiare. Smaltito il pranzo, con le dita unte e una pizza in borsa che porterai stasera a casa, entri come per inerzia alla FNAC, che in quel momento ti sembra pure l'unico posto adatto per distrarti dai pensieri. Infatti. Gente Normale, si chiama. Occhieggia dalla sezione Letteratura Italiana - Novità. Lo prendi e ti accomodi nella poltroncina tondeggiante a fianco alla letteratura spagnola. Ti ri-capita, finalmente, di perderti dentro un libro, di essere così concentrata nella storia altrui al punto che la tua non esiste più. Tornare in ufficio, alle due, non è più troppo difficile.

[però il pensiero di fanculizzare tutto e tutti, quel pensiero lì insomma, si sta pericolosamente insinuando in ogni mio inizio di giornata, di nuovo. Almeno vorrebbe dire smettere di nascondere le lacrime in autobus]

Ok, mi scoppia la faccia. Mi servirebbe un mese di tranquillità, senza telefoni che squillano, cape isteriche e mail a cui rispondere per smaltire tutto il lavoro che ho sulle spalle. No Panic. Sono SOLO un'esecutrice di ordini.

Potrei degnarmi di rispondere solo alle telefonate di Simon, il cliente londinese con quell'accento che ommygod e che mi dice sempre hi Allicce, good job Allicce, mentre alla mia capa riserva solo dei it's really disappointing, you know.

Sono piccole soddisfazioni.

Grazie Simon per avermi sollevato un pò questa giornata affogante.

Se non fosse per l'aria che respiro, camminerei sempre per spostarmi in città.

Tornare a casa la sera, mano nella mano, attraversare Brera, passare di fronte al Castello, superare Corso Magenta e dalle stradine interne spuntare in Carrobbio...è questo che intendo per vivere la città.
[E con te capita così di rado. O almeno non quanto vorrei.]

La città che siamo tanto abituati a considerare la grande metropoli [finchè la guardiamo dall'Isola] in realtà non è che un paesone. E fa un pò impressione quando incroci gli sguardi di tuoi veri paesani. Che cavolo ci fanno qui?, pensi. Magari lo stesso che ci fai tu.

Comunque ormai ho seri problemi di collocamento delle facce; che fatica per le mie sinapsi trovare il giusto collegamento faccia-luogo di appartenenza.

Stanotte ho fatto nuovamente il mio sogno ricorrente: dal piano alto di una casa in riva al mare, guardo fuori dalle vetrate e non vedo altro che acqua verde. Non è il mare che conosco io, e non riesco a distinguere i fondali. Per masoschismo mi viene voglia di aprire la vetrata e sporgermi fuori. Ma ho troppa paura e continuo a guardare senza muovermi.

La canzone di stamattina è Vieni via con me.

Le parole che vorresti sentire a volte non arrivano dalle persone giuste.

She's searching through the stations for an unfamiliar song and she pictures all the places wWhere she knows she still belongs. And she smiles the secret smile because she knows exactly how to carry on. So run baby, run from the old familiar faces and their old familiar ways to the comfort of the strangers slipping out before they say so long.
Baby loves to run.

Fine.


[Climax delle otto di mattina:
Run, Baby, Run
Road Trippin'
Angie
We're Going to Be Friends
]

...pronta per la mattinata di sprint finale con deadline 11:45.
L'iPod (in prestito) che mi accompagna nelle mie passeggiate mattutine verso l'ufficio dice:

When you try your best but you don't succeed, when you get what you want but not what you need, when you feel so tired but you can't sleep, stuck in reverse.

And the tears come streaming down your face when you lose something you can't replace, when you love someone but it goes to waste: could it be worse?

Lights will guide you home and ignite your bones and I will try to fix you.

High up above or down below when you're too in love to let it go but if you never try you'll never know just what your worth.

Tutto chiaro, no?

Certo che gli uomini a volte non capiscono proprio niente.

[vari esempi sarebbero a portata di mano, ma questo è stato concepito come un post-pensiero, e tale rimarrà. Per una volta non sarò logorroica.]

Meno male che c'è l'amica che quando la chiami per sottoporle un dubbio flash ti fa sentire la stronza che sei: perchè ha il coraggio - almeno lei - di dire a voce alta le verità che continui a negare pure a te stessa.
Però come ci si sente bene, dopo.

[e come ogni volta, dopo queste telefonate, mi chiedo: ma come cacchio fa ad azzeccarci sempre?]

A me le canzoni che iniziano con un assolo di chitarra mi emozionano sempre, mi fanno venire quel groppo alla gola tipo il tonfo dei campanacci dei Mamuthones. Solo che loro, i Mamuthones, mi fanno proprio venire le lacrime agli occhi.

E' stata giustamente una giornata di merda: lo è sempre quando sono di malumore. In genere mi accorgo che sarà una giornata di merda quando non riesco a evitare i rituali mattutini che sanno tanto di scaramanzia e masochismo. Quelli che faccio anche quando sono in super ritardo, e solo il pensiero di non farli mi fa stare male. Ecco, quando inizio la giornata con sti riti angosciosi e vincolanti è finita.

Quindi oggi per poco non mi sono messa a piangere per strada, mi sentivo tipo Amélie quando guarda alla tv il servizio sul suo funerale. Quindi arrivata in ufficio il mio pc ha fatto puf! e il tizio dell'EDP anzichè rianimarlo se l'è portato via. Quindi ho dovuto usare il pc dell'ex collega fastidioso che non è mai tornato dalle ferie. Il che ha comportato il dover invertire tutti i miei gesti abituali, perchè la postazione è a destra, mentre io di solito lavoro in quella di sinistra.
Un'Alice al contrario, mannaggia. Che fatica. Quindi. Però è finita.
Dopo 11 ore, ma è finita.

Ho una vita stabile ma sono circondata da persone che ne conducono una instabile. Gente che non sa dove vuole andare, cosa vuole fare, che non ha il coraggio di mollare tutto, che oggi è a 60 km di distanza e tra qualche mese chissà.
Io invece sto qui e li guardo, li ascolto e forse somatizzo.

Amo le telefonate improvvisate da una nazione all'altra, amo sentire dall'altra parte qualcuno che è contento di sentirmi, amo leggere vorrei che fossi qui, amo tornare a casa e accucciarmi a fianco a lui sul divano, amo girare Milano in Vespa, amo ridere fino alle lacrime con le persone con cui ho condiviso gli anni più belli dell'Università, amo i momenti di silenzio in cui è inutile parlare ma i pensieri si leggono in faccia, amo finire le mie giornate di lavoro e avere qualcuno con cui parlarne (NON AMMORBARE, parlare!), amo andare a lavoro a piedi e accorgermi che il California Bakery in piazza Sant'Eustorgio sarà il prossimo posto in cui voglio fare colazione.

Perchè non è possibile avere TUTTI gli amici vicino? Almeno quelli più importanti. Almeno quelli che ti fanno ridere fino alle lacrime. Almeno quelli che quando li incontri li DEVI abbracciare.

Sarebbe ora di decidere in quale città vogliamo vivere, TUTTI QUANTI, e poi starci. Punto.

Sarebbe ora, seriamente.

18 Settembre 2008

h. 9.13

Oggi ho sbagliato tutto. A partire dai tempi.

Quando alle otto e venti ho indossato i pantaloni di lino, unico abbigliamento plausibile per oggi, mi sono accorta che il lavaggio selvaggio in lavatrice li ha veramente accorciati. E che lo stiraggio non è andato a buon fine. E che ovviamente ho scelto un paio di calzini a righe arcobaleno che si intravedono quando cammino. Dovessi andare in giro per conto mio ci starebbe anche, ma il moto della mia capa, “Keep it formal”, la dice lunga sulle possibilità di abbinamento che ho. Mi è balenata per un nanosecondo l’idea di tornare di fronte all’armadio e rimettere in discussione tutto, ma non c’era proprio tempo.

Sono uscita di casa, ho fatto una corsa per accalappiare il 3, ci son salita sopra con un balzo felino dal marciapiede direttamente sul predellino ancora in movimento. Avrei fatto molto prima ad andare a piedi, ovviamente. Odio la deviazione in corso Italia. Ma c’era pure il rischio che mi beccassi la pioggia, e non ho portato l’ombrello.

Insomma, mi sono ritrovata a procedere con il passo super veloce lungo via San Maurilio, con una faccia da ritardo, i capelli al vento, un paio di pantaloni troppo corti e mal stirati e i calzini a righe arcobaleno a rendere sgargiante la mia mise professionale. Poi mi sono improvvisamente accorta che alle mie orecchie suonava la colonna sonora dei Blues Brothers. Mi sono vista dall’esterno. E sono scoppiata a ridere.

Vista la giornata piovosa, i miei programmi da Single in the City sono andati in fumo. Ho aperto appena un occhio alle 7, quando lui mi ha dato un bacio leggero sulla guancia prima di andare a lavoro, e poi mi sono magicamente risvegliata alle 10 grazie al suono della pioggia fuori.

Riformulare i programmi.

Prima cosa: scegliere la musica adatta. C'è un CD che sulla facciata riporta la scrittura un pò sgangherata da medico con una serie di titoli di album che non riesco completamente a decifrare. Vada per questo. Gioia: tutto un album dei Beatles -che da una settimana a questa parte sento come la mia colonna sonora indispensabile- e una serie di pezzi rock che mi riportano indietro nel tempo, come quando al liceo io e Ilenia sognavamo di diventare giornaliste musicali e intervistare Steven Tyler degli Aerosmith.

Seconda cosa: colazione. colazione. colazione.

Alla fine, come terza cosa, decido di accantonare l'idea del trinomio divano-musica-libro che inizialmente mi allettava. Mi è bastato darmi un'occhiata intorno per capire che il soggiorno e la casa tutta hanno bisogno di un intervento femminile.
E quindi faccio la donna di casa per una mattina. Me lo posso concedere visto che sono sola.

Il fatto è che qui i ruoli non sono proprio quelli canonici in un rapport di coppia.
O meglio, mi rendo conto che non mi lamento delle tipiche cose di cui si lamentano le mie simili nella mia stessa situazione.

La tavoletta del wc viene regolarmente alzata al'occorrenza.
Ci diamo il cambio nel lavare i piatti la sera.
Lui mi lascia la colazione pronta quando esce prima di me la mattina.
Prepara molto spesso la cena la sera.

Uhm...c'è qualcosa che non va se i motivi per cui mi arrabbio invece sono cose tipo:

- la sua mania per l'utilizzo del ferro da stiro la mattina (io quasi nemmeno mi ricordo di stirare le magliette quando devo uscire; lui ha la psicosi per le pieghe ed è capace di uscire un quarto d'ora più tardi la mattina per sconfiggere lo spiegazzamento bastardo sotto l'ascella della camicia)

- l'assoluta incapacità che abbiamo di convivere all'interno di una cucina. Ogni volta finisce per fare tutto lui, perchè non riesce a dispensarsi dal dare consigli e poi impadronirsi del mestolo perchè lo sa lui come si gira il riso per farlo venire buono.

- la sua voglia di occuparsi della casa nel weekend. Se non ci sono programmi, mi sento lanciare proposte come dividiamoci i compiti e puliamo la casa, oppure andiamo all'Ikea?

Beh, ora che ci penso...sono MOLTO fortunata :)

Il fatto che siamo ragazze del sud ci perseguita ovunque andiamo. Possiamo anche vivere mesi e mesi in Grigiolandia al freddo e al gelo ma non impareremo mai a prevedere quando è arrivato il momento di tirare fuori la sciarpa.
Prendiamo ad esempio una domenica mattina a Innsbruck; dopo un afoso sabato pomeriggio d'estate settembrina, il mattino domenicale è grigio e piovoso. Grigemma si affaccia alla finestra, o per meglio dire, vi si sporge con metà corpo tipo Nereide alla prua di una nave pirata, e dice: "piove, ma non sembra freddo". Usciamo quindi di casa armate di ombrellino floreale e giubbino.
In autobus già ci accorgiamo che qualcosa non torna, visto che la popolazione locale sfoggia cuffia e sciarpa.
Quando arriviamo in centro il nostro termometro corporeo ha un crollo. Fa FREDDO.
La sottoscritta starnutisce rischiando di espellere pezzi di polmone e Grigemma continua a formulare risposte alternative per descrivere una sua tipica giornata in Grigiolandia. Concordiamo sul fatto che dopo il grigioalzarsi e la grigiocolazione passa le sue giornate attorniata da grigiocolleghi nel suo grigiolaboratorio.

E' inutile, rimarremo Piccole Fiammiferaie for ever.

Ma secondo voi stamattina la mia capa avrà compassione del fatto che ho questa faccia sbattuta causa diecioreditrenoinquarantottooreeraffreddoremalefico oppure se ne fregherà e mi caricherà di lavoro come al solito?

C'ho un sonno smisurato ultimamente. Mi prende al pomeriggio, subito dopo pranzo, quando riaccendo lo schermo del pc e la presentazione su PowerPoint è sempre lì dove l'ho lasciata, coi suoi grafici a istogramma, i numerelli al centro, le tendenze, lo split dei 10 Paesi dell'Europa Occidentale...Insomma, che sonno. Però non potendo dormire là, mi porto dietro sto torpore fino a sera, così che quando vedo il divano a casa lo amo con tutta me stessa e mi ci fondo. Ieri sera il programma era "guardiamoci un film a letto". Il film l'ho pure scelto io, ma dopo i primi DUE minuti stavo già dormendo, lasciando al suo destino il film l'assassino e il mio compagno di avventure, che a quanto pare è rimasto sveglio fino a tardi senza che io mi accorgessi minimamente di niente.

Mia sorella, quand'era adolescente e combinava casini ogni due per tre, se ne faceva una delle sue dormiva. Quando qualcosa non andava, dormiva. Magari pure io ne ho combinata una delle mie: solo che, non sapendo esattamente COSA ho combinato, c'ho questa moltitudine di sonno a cui non lascio spazio, perchè non ne trovo la ragione.

Intanto il mio medico in famiglia continua a dirmi che ho odore di alcool. Ho bevuto solo uno stupido (e pure schifoso) Cosmopolitan. Questi medici c'hanno proprio l'olfatto fine. Comunque lo faccio contento e gli sto lontana.

Ecco, il mio lavoro ideale dovrebbe svolgersi all’interno di una stazione. O di un aeroporto. O di un qualsiasi luogo-non luogo crocevia di partenze e arrivi e facce e saluti e sguardi spaesati.

Stazione Centrale di Milano.

Mentre salgo gli scalini che dai sotterranei della città mi portano in superficie ho un flashback relativo all’ultima volta che ho incontrato i miei in una stazione. Era l’11 Giugno 2007. Ed era proprio qui, al binario 1. Solo che ero io la passeggera in arrivo, loro mi venivano incontro e non riuscivo ad avere che un unico pensiero in testa: voglio sparire voglio tornare indietro voglio sparire voglio tornare indietro. A 5 ore di treno fa. Comunque. E’ stato un flashback di pochi secondi.

Il treno delle 18.45 proveniente da Venezia arriverà al binario 14; mi ci avvicino lentamente, lasciando scorrere lo sguardo prima sui tasselli in movimento del tabellone, poi sul turbante arancione di un ragazzo indiano e sugli occhi spaventati di un vecchio signore con la pelle cotta dal sole che aspetta il suo treno.

Le porte del treno si aprono, una fiumana di gente si accalca sulla banchina. Probabilmente sarò in mezzo ai piedi come al solito, ma mi piace stare al centro di questo movimento umano e mi ci lascio travolgere. Incrocio gli sguardi della gente che arriva, delle coppie che si ritrovano, dei gruppi di ragazzi con il sacco a pelo in spalla.

E in coda, ma proprio in coda, eccoli là, i miei passeggeri in arrivo.

Se lo meritano, stavolta, di essere accolti con un sorriso.

- Ieri è tornata la mia capa dalle ferie. Ieri sono entrata in ufficio alle 8 e uscita alle 19. Il lavoro per cui mi sono sbattuta tanto probabilmente l'ha guardato appena di striscio.

- La nostra Punto Niente staziona dal meccanico da 3 giorni. Ciò implica avere un ragazzo zombie che gira per casa la sera, stremato più del solito, mettere la sveglia mezz'ora prima la mattina (leggasi h.6), cadere tramortiti dalla stanchezza la sera alle 22. Ah, implica anche che quella che deve tenere su il morale della coppia stavolta sono io, e far sembrare le cose meno stancanti di quanto non siano. Ma è un ruolo che mi assumo con piacere.

- Domani arrivano i miei a Milano per il weekend.

- Domani sera il ragazzo zombie ha UN'ALTRA guardia notturna. Quindi sabato, quando tornerà, sarà più zombie che mai.

- Milano è di nuovo affollata, e non c'è più tanto gusto a fare il percorso casa-lavoro-casa a piedi.

In tutto questo mi chiedo: com'è che anche questo mese c'ho una PMS positiva e il buonumore regge? Saranno le circostanze che mi costringono a reagire così? Mah.

Mi auguro una buona giornata.

Questo blog mi sta facendo girare le palle. Ora come cacchio faccio a togliere quei tre linkettini che si sono infilati a tradimento sotto il titolo?!? Io e la tecnologia non andiamo più d'accordo come un tempo, è questo il punto.

La mia giornata da single solitaria in città, proprio uguale uguale a come quando sono arrivata qui poco più di un anno fa, si sta diramando nella sua pigra e molle essenza.
Ma ora che ci penso non è proprio uguale uguale a un anno fa, perchè stamattina al mio risveglio ho trovato sul tavolo una colazione spettacolare e un biglietto che mi augurava una buona giornata. Due brioches, latte, cereali, galletti, una baguette, un barattolo di nutella.
Ho mangiato guardando il nuoto sincronizzato alla tv, uno di quegli sport che assieme al pattinaggio e alla ginnastica ritmica mi fanno piangere.

Ora che sono quasi le cinque e mi sento soddisfatta per aver svolto tutte le attività che potevo svolgere qui in casa per appagare i miei sensi (ovvero, ascoltare Bob Dylan, leggere De Carlo, mangiare frutta mentre leggo, addormentarmi con il libro in mano, mangiare la brioche con la marmellata al risveglio), posso andare in libreria. Che teoricamente sarebbe dovuta essere la prima meta della mia giornata, ma ormai sto diventando una professional procrastinator...
mi arrendo all'evidenza e constato soddisfatta che questo fatto non mi crea nessuna ansia.

{Obiettivo futuro ma non troppo: eliminare le forme di dipendenza interpersonale: se ci riuscivo prima posso tornare a farlo}

Lo sanno tutti che l’anno nuovo in realtà inizia a Settembre. Per me, perlomeno, è sempre stato così.

A Settembre iniziava la scuola, c’era la nuova sessione di esami prima dell’inizio delle lezioni all’Università, finiscono le ferie e i clienti tornano in massa a rompere le scatole.

Detto questo, sento proprio il bisogno di stilare la lista dei miei buoni propositi per l’anno nuovo. A mò di esorcismo, credo. Nonostante questo primo giorno di lavoro post-ferie sia stato tranquillo, e quindi mi sia tolta un bel peso dallo stomaco, ho bisogno di esorcizzare.

Quindi:

  1. aprire un nuovo blog, perché quello Tiscali non mi va più, non mi piace la resa grafica, non mi piace il fatto che lo legga chi non voglio che lo faccia, e c’è dentro un’Alice a cui tengo tanto ma che per il momento vorrei superare.
  2. iscrivermi a quel corso di Fotografia di cui ho letto su Internet
  3. iscrivermi pure a uno dei corsi di lingue che ho trovato sul sito del Comune di Milano. Indecisione: cinese, giapponese oppure rimanere sulle lingue occidentali e perfezionare lo spagnolo? Però vorrei imparare pure il tedesco, e anche il portoghese mi affascina…[uhm, su questo punto c’è ancora da riflettere].
  4. Se Gemma mi diceva sempre “quando lavorerai dovrai dire addio alle t-shirt con gli animali stampati sopra”, e io non le ho mai dato ascolto (perché alla mia maglietta gialla con la ranocchia non rinuncerei mai e poi mai), è vero però che posso concedermi qualcosa di nuovo: oggi ad esempio ho messo i tacchi per andare in ufficio, e non ho rimpianto tanto le ballerine, buon segno.
  5. Incazzarmi di meno. Sembra facile detto così, ma in sostanza vorrebbe dire che NON posso riversare le mie improvvise lune storte sull’unica persona che non lo merita, e che non fa altro che dimostrare di amarmi. Ecco, pure io dovrei dimostrarglielo di più. Quindi, punto
  6. Dimostrarglielo di più, e cercare di non affogare quello che sento dentro millemila altre paranoie.
  7. Cucinare di più, perdinci, sono io o no la donna in questa casa?!?
  8. comprare con i miei sudati (e a volte frastimmati) guadagni una nuova macchina fotografica
  9. vivere zen, facendo in modo che il lavoro finisca quando varco la porta dell’azienda.
  10. Limitare i danni provocati dal mio personale Peter Pan, che ciclicamente scalpita per avere il sopravvento. Va ascoltato, ma assecondato fino a un certo punto, se no è la fine.

10 punti possono bastare. Data la mia passione per le liste potrei continuare ancora, ma poi non si tratterebbe più di buoni propositi (insomma, non voglio caricarmi troppo per questo nuovo anno).

Il ritorno dalle vacanze DEVE essere, stavolta, un motivo per reimpostare alcuni aspetti della mia quotidianità.

Ripeto come un mantra non avere paura non avere paura non avere paura.
Apparentemente non ci sarebbe proprio niente da temere, ma si sa, sono sempre stata una fifona.

Quindi NON pensare che domani è lunedì e tutto ciò che ne consegue, che sei di nuovo lontana da Casa e non sai nemmeno tu se esserne contenta davvero o meno (ma dov'è che vuoi stare, si può sapere?), NON PENSARE. Ecco. Scrivi.

Il mio vecchio blog rimarrà dov'è, con tutto il suo (mio) passato.