Ecco, il mio lavoro ideale dovrebbe svolgersi all’interno di una stazione. O di un aeroporto. O di un qualsiasi luogo-non luogo crocevia di partenze e arrivi e facce e saluti e sguardi spaesati.

Stazione Centrale di Milano.

Mentre salgo gli scalini che dai sotterranei della città mi portano in superficie ho un flashback relativo all’ultima volta che ho incontrato i miei in una stazione. Era l’11 Giugno 2007. Ed era proprio qui, al binario 1. Solo che ero io la passeggera in arrivo, loro mi venivano incontro e non riuscivo ad avere che un unico pensiero in testa: voglio sparire voglio tornare indietro voglio sparire voglio tornare indietro. A 5 ore di treno fa. Comunque. E’ stato un flashback di pochi secondi.

Il treno delle 18.45 proveniente da Venezia arriverà al binario 14; mi ci avvicino lentamente, lasciando scorrere lo sguardo prima sui tasselli in movimento del tabellone, poi sul turbante arancione di un ragazzo indiano e sugli occhi spaventati di un vecchio signore con la pelle cotta dal sole che aspetta il suo treno.

Le porte del treno si aprono, una fiumana di gente si accalca sulla banchina. Probabilmente sarò in mezzo ai piedi come al solito, ma mi piace stare al centro di questo movimento umano e mi ci lascio travolgere. Incrocio gli sguardi della gente che arriva, delle coppie che si ritrovano, dei gruppi di ragazzi con il sacco a pelo in spalla.

E in coda, ma proprio in coda, eccoli là, i miei passeggeri in arrivo.

Se lo meritano, stavolta, di essere accolti con un sorriso.

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