Scandalo delle mamme apprensive, preoccupazione dei padri ragionevoli, Giovanna d'Arco delle impiegate indeterminate ma infelici, eccomi alla fine di un'altra giornata che accorcia i tempi della mia dipartita dziefcacchiana.

Un mese e tre giorni, e pure questa fase della mia vita sarà finita. Per la felicità dei molti che non ne potevano più di sentire le mie lamentele, ma a quanto pare con la soddisfazione anche di qualcun altro. Certe cose saltano fuori solo al momento della letterina d'addio, chissà perchè poi.

Eppure è notizia odierna che ai piani alti nessuno si è stupito del mio annuncio.
La frase ce lo aspettavamo mi ha lasciata interdetta. Sapere, dopo quasi due anni di onorato e frastimmato servizio non ben remunerato, che tutti aspettavano solo il momento in cui mi sarei stancata di ricevere niente in cambio del sudore della fronte mi ha fatto sentire...come dire, male.
Contenta tre volte tanto di aver deciso, ma schifata per questa verità. Per questa inerzia, per il loro stare a guardare.

Siamo matricole, mani che si muovono sui tasti, cervelli che devono lavorare a senso unico.
Non persone che si impegnano, che credono di poter dare un contributo, che però si lamentano e infine se ne vanno, con tacita soddisfazione di chi in fondo pensa che siamo pericolose perchè anime pensanti e possibili sovvertitrici dell'ordine aziendale.

Si esprimono gli arrivisti, che dicono mi dispiace e che per prima cosa vogliono accertarsi che nel nuovo lavoro verrò pagata di più.

...

Se sapessero.
Mi bollerebbero come una matta.
Meglio non dir loro che c'è gente che crede che il lavoro può anche piacere per motivi diversi dai soldi, che lascia un lavoro stabile in favore di un progetto entusiasmante e appena nato con le relative insicurezze, che riuscirà (con immenso sforzo, per la verità) a fare a meno di quella che è ormai riconosciuta come la moneta di scambio per eccellenza nel regno ambrosiano - il ticket restaurant.

Li lascio nel loro mondo fatto di bonus-incentivi-premidiproduzione-tantovincoio.
E continuo a cazzeggiare.

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